Riceviamo e volentieri pubblichiamo un nuovo post sull’Accoglienza (dal Piccolo Concorso sull’Accoglienza) a cura di Edvige Forino, Insegnante, di Castellammare, a cui va il mio ringraziamento.
Quando sento questa parola, purtroppo, per deformazione professionale mi viene in mente una serie di attività ‘protocollari’ che noi docenti siamo sollecitati ad attuare nei primi 15 giorni dell’anno scolastico, in particolare nelle prime classi. Come se fosse un obbligo e non una naturale propensione del ‘padrone di casa’; come se rispondesse a precisa programmazione in termini di orario, progressione dell’attività, steps educativo-formativi.
Per anni è stato bello pensare invece a questo termine come a una disposizione spontanea, come alla sincera manifestazione di una apertura disponibile verso l’altro: ad esempio, verso il nuovo studente che arriva un pò spaesato nella scuola superiore, a cui va offerta una particolare attenzione senza per questo prevenire troppo le sue personali esplorazioni in questo nuovo mondo.
La parola accogliere mi fa pensare proprio ad un abbraccio aperto, un abbraccio senza stretta finale, per consentire all’accolto di potersi adattare meglio in questo ambito che gli si apre davanti: nell’accoglienza è insita l’offerta, ma anche la discrezione; il calore, ma anche il rispetto.
Gli antichi, al cui mondo mitico guardo spesso trasognata, avevano il culto dell’ospite: egli veniva accolto, messo a suo agio, sfamato…e poi si attendeva che a sua volta restituisse l’attenzione ricevuta aprendo il suo cuore, magari condividendo il peso del suo destino, raccontando le esperienze che lo avevano segnato, esprimendo quei sentimenti che non aveva avuto il coraggio di confessare forse nemmeno a se stesso.
I suoi ospiti, ascoltandolo, avrebbero sperimentato quelle esperienze che mai avrebbero immaginato di vivere, arricchendosene; avrebbero placato la sua anima travolta dagli eventi con la rassicurante quiete della loro tranquilla condizione.
Nell’accoglienza vedo questa reciprocità.
A volte è bastato un bicchiere di vino e una chitarra per sciogliere il freddo del cuore, per non sentirmi più lontana o straniera, ma accolta in seno a una piccola comunità. Allora anch’io ho preso la chitarra e ho provato a cantare la mia parte…